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Punizioni tecnologiche
La nuova frontiera dell’educazione digitale americana si basa su punizioni tecnologiche. Davanti ai brutti voti, si confiscano cellulari, si vieta face book, si spegne play station, perché per le generazioni digitali la priorità non è sempre uscire con gli amici, ma essere connessi on-line. Praticamente per i genitori americani la linea educativa è questa. E’ la fine del ceffone?
Il bambino compreso, non domato
Franco Frabboni, professore di pedagogia all’Università di Bologna, dice: «I genitori ormai sanno che le regole devono essere condivise, costruite con il figlio. Ti do meno cartoni animati, ti tolgo i giochi tecnologici, quelli che si usano da soli. Sono per l’educazione indiretta come la intendeva Jean-Jacques Rousseau: gli tolgo ciò che lui vorrebbe». Sottrazioni, negazioni e, se piagnucolano, lasciarli piangere. «Bisogna spiegare perché il genitore è deluso, mai presentarsi con urla e minacce. È solo un gesto tragicomico, si parte urlando, si passa allo scappellotto e alla fine vince sempre il bambino». Va riletto il rapporto tra genitori e figli, sempre più appesantito dai sensi di colpa. «Genitori fuori per tutto il giorno, figli lasciati, nella migliore delle ipotesi, ai nonni. Sta scomparendo il super io. Si è smesso di dire di no e i figli sono senza freno sociale». Il vero lavoro va svolto nella preadolescenza: «Dopo bisogna diventare genitore-confessore. Se no il figlio si concede al gruppo ». Ma dall’altra parte Frabboni riconosce ai genitori di oggi una maggiore attenzione, anzi li promuove con un 7+: «Hanno capito che il bambino va compreso, non domato».
Il genitori italiani
Un recente studio dell’Università di Montreal ha fatto emergere che i genitori italiani sono fra i più severi, più di canadesi e francesi, e tra quelli che sanno esercitare un controllo maggiore sui loro ragazzi. Per la prima volta dallo studio emerge «che le madri italiane non sono affatto le più affettuose e disposte sempre a perdonare i loro pargoli». Le madri italiane, anzi, menano più dei padri. È capitato anche ad Anna Olivero Ferraris, psicologa dell’età evolutiva: «Fu l’unico schiaffo che diedi a mia figlia, aveva 6 anni ed era tremendamente irritante, lei ci rimase tanto male e capii subito che la colpa era stata mia che avevo preteso che stesse con gli adulti troppo a lungo». Certo, riflette, «con l’educazione dura di una volta, gli schiaffi che volavano spesso, non si aspirava a diventare bamboccioni, ma ad andarsene prima possibile. Oggi, in una società difficile, che sostiene meno, il dialogo tra genitori e figli è sempre più importante. Le botte sempre meno, perché creano una barriera».
Servono regole
Insomma, se si usano le sberle come modello educativo non va più bene: «Vedo genitori iperpermissivi e iperprotettivi che li tengono alzati fino a tardi e poi magari urlano per mandarli a letto. Gli fanno fare una vita non adatta alla loro età, pochi giochi all’aperto, reclusi in casa davanti alla televisione, e poi si stupiscono se sono nervosi e fanno i capricci. Invece servono regole, i bambini si sentono protetti dalle regole».
Senso d'impotenza
Ma se gli adulti non sanno darsi regole, come possono darle ai bambini?, si chiede la psicoterapeuta Masal Pas Bagdadi. «La punizione è il senso d’impotenza dei genitori. Deve avere sempre un significato, bisogna pensare perché si dà una punizione e più che punire bisognerebbe insegnare a riparare. Non è grave uno scappellotto, ma il ceffone è avvilente. Non si picchia un bambino né lo si svilisce svalutandolo a male parole: è uno sfogo che ferisce e può restare come un incubo per tutta la vita».
E la scuola?
La stessa procedura sarebbe da seguire a scuola. «Le note sono da abolire, non si risolve il problema rimandando la questione al genitore perché punisca il bambino a casa». Nelle scuole italiane note e sospensioni sono ancora il metodo punitivo più usato. Marco Rossi Doria, da 40 anni educatore, ricorda ancora le righellate sulle mani alle elementari della sua infanzia: «Ma era un altro mondo, oggi servono poche regole e chiare. Niente di peggio dell’urlo senza avere capito o degli schiaffi. La perdita di controllo fa solo perdere autorevolezza». È convinto che «ci sono dei punti fermi: le regole devono essere esplicite e valere per tutti, alunni e insegnanti. Ma la punizione deve essere proporzionata e avere una corrispondenza, essere riparativa. Se il bambino scassa il televisore si userà la sua paghetta per ripararlo. Mai frasi come “sei sempre il solito” o “sei un cretino”. E poi la punizione deve essere tempestiva: non ha senso se adottata dopo diversi giorni dal fatto. E anziché buttarli fuori dalla classe, facciamogli sistemare il giardino della scuola».
Poca fantasia
Poca fantasia al potere, secondo Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra esperto di adolescenti (in uscita a ottobre, edizioni Sanpaolo, un suo Manuale per genitori sull’orlo di una crisi di nervi, scritto con Loredana Cirillo): «Noto la scarsa creatività dei genitori nell’applicare i castighi, manifestazioni di insuccesso più che ricerca di efficacia. Le punizioni automatiche sono la sottrazione di strumenti elettronici, la paghetta sospesa, gli amici che non si vedranno per qualche giorno. Dubito che queste sottrazioni causino un vero dispiacere. Non bisogna togliere, ma aggiungere, prendere dalla trasgressione un segnale per capire che cosa c’è da fare. Spendete una serata a pensare come punire i vostri figli in modo intelligente».
Afflizione evolutiva
E allora si stirano le camicie del papà, si studiano le lingue oppure, consiglia Pietropolli, «se la tv si accende alla 2 invece che alle 6, li si obbliga a vedere La corazzata Potemkin», un po’ fantozziano, ma efficace. «Si aumentano le incombenze. Come i giudici minorili, si mettono alla prova i ragazzi e si fa un programma educativo. Sì che ci vuole una sanzione, ma l’afflizione deve essere evolutiva, non regressiva. Andare a letto senza cena non ha senso, bisogna aumentare le responsabilità, non diminuirle». E poi i bambini non hanno più paura: «Sanno che se portano brutti voti a casa non succede il finimondo».
Il compito di vigilare
I genitori hanno il compito di vigilare, non solo di punire» ricorda Luigi Aprile, professore di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Firenze (per la Apogeo uscirà a novembre Lo sviluppo umano). «Sì, i figli vanno puniti, a partire dai 3 anni e non prima. Secondo la psicoanalisi, gli uomini hanno bisogno di ricevere le punizioni per distinguere il bene dal male. Ma quelle corporali vanno sempre evitate».
E una volta....
Ma una volta si cresceva a ceffoni e non si cresceva poi così male, in fondo ne è convinta Lucia Rizzi, scrittrice dei volumi di successo Fate i bravi! e Fate i compiti! (Rizzoli) e capotata del reality Sos Tata: «È vero, però una volta si cresceva in ambienti dove si respiravano comportamenti corretti. Oggi entri in casa alla sera e il padre è davanti alla tv, la sorella maggiore manda messaggi, il fratello gioca con la Playstation e la cena è un optional. Anche i neonati scontano mamme che li allattano davanti al computer. Se gli mostriamo comportamenti non corretti, come facciamo poi a punirli?». Comunque il ceffone non è mai sano: «È una reazione di rabbia e l’adulto dovrebbe saper gestire la sua rabbia. Noto invece che è aumentato il tono rancoroso e la conseguenza è che quasi tutti i ragazzini urlano». È la nuova moda dei genitori stravolti ed esasperati, così da finire sulla prima pagina del New York Times che titolava: «Gli strilli sono la nuova sculacciata».
Gli obiettivi
align=left>«Bisogna dare degli obiettivi: compiti fatti, televisione accesa.
Vedo sempre più bambini prendere a calci il telecomando. Loro non capiscono,
sono turbati da atteggiamenti spesso eccessivi. Se prendono a calci un pallone
si sentono trattati da genitori supercompetitivi come piccoli Pelè; se lo fanno
con un altro oggetto si sentono urlare contro». Quali sono le soluzioni?
Risponde Fulvio Scaparro, psicoterapeuta e fondatore del Gea (Associazione
genitori ancora): « Lo scappellotto simbolico va bene, lo schiaffo non è vero
che non fa male a nessuno. Si ubbidisce per paura e questo è sbagliato. Se
concedete tutto, si prepara un terreno pessimo per il futuro; se li terrorizzate
dicendo “te la vedrai con tuo padre” e poi il padre non conta nulla, è peggio.
Bisogna scegliere la terza via: la mamma offesa. Non il silenzio gelido che è un
ricatto tremendo, ma fargli capire che hanno sbagliato. Dirglielo con forza e
sicurezza, senza urli né insulti». Sembra facile…
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Dopo anni di lassismo, durante i quali ai bambini è stato concesso di tutto, serve o no il ceffone? |
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